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  • (Ri)leggiamo i sonetti di Shakespeare, tradotti da Sergio Perosa

    (Ri)leggiamo i sonetti di Shakespeare, tradotti da Sergio Perosa

    Sul Corriere di oggi (8 dicembre 2024) una lunga intervista al prof Sergio Perosa (vincitore dei premi Brunacci) nella quale parla della sua nuova traduzione dei sonetti di Shakespeare. Secondo Perosa sono fra le vette della letteratura mondiale, un misto di organizzazione drammatica, manierismo formale, slancio intellettuale e sensualismo. Il padre dell’anglistica italiana, Sergio Perosa (91 anni compiuti il 27 novembre), ne ha curato una nuova edizione per Marsilio.

    Secondo alcuni i sonetti sono una “nuda confessione autobiografica» del grande scrittore inglese”.

    Penosa precisa che ‘sono 154 sonetti di altezza impressionante pubblicati per caso, subito scomparsi anche a causa dei contenuti omosessuali. Shakespeare era bisessuale, ma quel che conta è la sua grandezza da scrittore’.

    Un articolo tutto da leggere, oggi in edicola, magari rileggendo la sua nuova traduzione.

    Monselice, 8 dicembre 2024


    © 2024 a cura di Flaviano Rossetto

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  • Francesco Selmin, componente della Giuria del Brunacci

    Francesco Selmin, componente della Giuria del Brunacci

    Insegnante, storico, scrittore, politico: Selmin era una personalità poliedrica, mossa unicamente dall’amore per il sapere e per il territorio. Era nato a Selvazzano Dentro e, dopo la laurea in lettere a Padova, il lavoro di docente lo aveva portato nella Bassa. A Este aveva trovato la moglie Anita Pignataro, con cui ha condiviso tutti i progetti e le aspirazioni. Assieme ad alcuni amici, negli anni ’70 avevano dato vita ad un gruppo politico denominato Este per cambiare: lottavano per la tutela dell’ambiente e avevano spinto per la legge Romanato-Fracanzani, che nel 1971 pose fine allo scempio delle cave.

    Da quell’attivismo era nato il periodico L’orso, che per anni ha arricchito il dibattito politico e accompagnato l’attività di Selmin in consiglio comunale, di cui è stato presidente nel biennio 1995-1996. Il mondo della cultura, però, ricorda il professore come ideatore della rivista Terra d’Este, in seguito Terra e storia, vivace contenitore di storia locale, dove studiosi e appassionati hanno pubblicato i loro approfondimenti. Ma Selmin riusciva a trarre ispirazione da ogni esperienza. Come insegnante dell’Itis, aveva sviluppato una ricerca assieme ai suoi alunni e portato alla luce vicende dolorose della storia recente: dalle memorie degli anziani, aveva ricostruito gli orrori del campo di concentramento di Vo’ Vecchio, attivo negli anni ’40 a villa Contarini-Venier.

    Decine di ebrei lì internati partirono per Birkenau e non fecero più ritorno. Selmin ha raccolto minuziosamente dati e testimonianze e li ha raccolti nei suoi libri più famosi: Nessun giusto per Eva (2011), Verso Auschwitz (2015) e Il capretto e l’angelo della morte (2020), sua ultima fatica. Racconta la figlia Linda: «Papà è stato un esempio di grande moralità e di dedizione allo studio. Percepivo la passione che metteva nel prepararsi e la stima che studenti e amici avevano di lui. È stato generoso con il mondo e con il territorio dei Colli e di Este». Cordoglio è stato espresso anche dalla politica locale, con il sindaco Matteo Pajola: «Il suo contributo culturale, politico-sociale e umano rimarranno un patrimonio perpetuo per la nostra città». (Tratto dal Gazzettino)

  • Premio di Traduzione – Atti pubblicati

    Premio di Traduzione – Atti pubblicati

    ATTI DEL PREMIO ‘CITTA’ DI MONSELICE

    PER UNA TRADUZIONE LETTERARIA E SCIENTIFICA

     

    I volume – Edizione del Premio n. 1 (1971)    (Scarica intero volume in formato PDF) 

    Bando e la giuria pp. 7;  Opere pervenute alla Giuria del Premio ‘Città di Monselice’ I (1971)
    Relazione della Giuria pp. 13; Relazione del vincitore del premio (Franco Fortini) pp.
    Cronaca della premiazione

    1971 Interventi dei vincitori

    F. FORTINI, Traducendo il Faust, 1 (1971), pp. 23-30.


     

    II volume – Edizione del Premio n. 2 (1973)     (Scarica intero volume in formato PDF)

    Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – II edizione 1972
    Relazione della Giuria, 2 (1972), pp. 13; Cronaca della premiazione;

    1972 Interventi dei vincitori
    F. M. PONTANI, Esperienze d’un traduttore dal greco, 2 (1972), pp. 21-36

    I Convegno sui problemi della traduzione letteraria

    C. CASES, Walter Benjamin teorico della traduzione, 2 (1972), pp. 39-45.

    E. CHINOL, Traducendo il Macbeth, 2 (1972), pp. 46-51.

    I. DE LUCA, Noterella sulla traduzione letteraria e poetica, 2 (1972), pp. 52-59.

    F. FORTINI, Cinque paragrafi sul tradurre, 2 (1972), pp. 60-65.


    III volume – Edizione del Premio n. 3, Monselice 1974     (Scarica intero volume in formato PDF )

    Il bando e la Giuria; Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – III edizione 1973
    Relazione della Giuria pp. 11 ; Cronaca della premiazione;

    1973 – Interventi dei vincitori
    G. CAPRONI, Divagazioni sul tradurre, 3(1973), pp. 21-29

    II Convegno sui problemi della traduzione letteraria

    C. CASES, Goethe traduttore del Cellini, 3 (1973), pp. 33-43.

    J. MORENO BERNAL, La traducción al italiano de unos versos de Lorca, 3 (1973), pp. 44-49.

    M. CORTI, Traduzione e autotraduzione in Beppe Fenoglio, 3 (1973), pp. 50-54.

    C. DELLA CORTE, Dialetto, lingua e traduzione, 3 (1973), pp. 55-60.

    M. LUZI, Circostanze di traduzione: il teatro, 3 (1973), pp. 61-62.

    V. ZAMBON, Diego Valeri traduttore-poeta, 3 (1973), pp. 63-72.


    IV volume – Edizione del Premio n. 4, Monselice 1975        (Scarica prima parte volume in formato PDF )

    Il bando e la Giuria; Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – IV edizione 1974
    Relazione della Giuria pp. 11; Premi straordinari Petrarca; Cronaca della premiazione;

    1974 – Interventi dei vincitori
    G. CERONETTI, Specialista in dilettantismo, 4 (1974), pp. XXV-XXIX.

    III Convegno : Traduzione e tradizione europea del Petrarca    (Scarica seconda parte volume in formato PDF )

    G. FOLENA, Premessa, pp. 1-3.

    M. MELCHIONDA, Chaucer, Wyatt e le “contrarietà dell’amoroso stato”: Canzoniere CXXXII e CXXXIV nella letteratura inglese, 4 (1974), pp. 5-36.

    E. BALMAS, Prime traduzioni dal Canzoniere nel Cinquecento francese, 4 (1974), pp. 37-54.

    F. MEREGALLI, Sulle prime traduzioni spagnole di sonetti del Petrarca, 4 (1974), pp. 55-63.

    C. CASES, Il sonetto in Germania e le prime traduzioni di sonetti petrarcheschi, 4 (1974), pp. 65-76.

    F. ČALE, Intorno alle prime versioni croate del Petrarca, 4 (1974), pp. 77-83.

    M. FOGARASI, Il Petrarca nella letteratura magiara, 4 (1974), pp. 85-86.

    V. BRANCA, Petrarca tradotto in Russia, 4 (1974), pp. 87-89.

    O. DRIMBA, La fortuna del Petrarca in Romania, 4 (1974), pp. 91-103.

    C. D. ZELETIN, Coşbuc, lettore del Petrarca, 4 (1974), pp. 105-112


    V volume – Edizione del Premio n. 5, Monselice 1976        (Scarica intero volume in formato PDF )

    Il bando e la Giuria; Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – V edizione 1975
    Relazione della Giuria pp. ,  Cronaca della premiazione;

    1975 – Interventi dei vincitori

    F. PIVANO, Grazie, cari amici, 5 (1975), pp. XXIII-XXXII.

    G. P. BONA, Interpres et amans, 5 (1975), pp. XXXIII-XXXV.

    E. SAVINO, Confessioni tucididee, 5 (1975), pp. XXXVII-XXXIX.

    S. VITALE, Per tradurre Belyj, 5 (1975), pp. XLI-XLII.

    IV Convegno: Le traduzioni dei classici a Padova

    G. FOLENA, Premessa, 5 (1975), pp. 1-2.

    F. M. PONTANI, L’Aristofane di Romagnoli, 5 (1975), pp. 3-21.

    E. PIANEZZOLA, Concetto Marchesi, 5 (1975), pp. 23-43.

    M. V. GHEZZO, Manara Valgimigli, 5 (1975), pp. 45-56.

    O. LONGO, Carlo Diano, 5 (1975), pp. 57-78.


    VI volume – Edizione del Premio n. 6 (1976)      (Scarica intero volume in formato PDF)

    Comitato d’onore; Il bando e la Giuria; Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – VI edizione 1976; Relazione della Giuria; Cronaca della premiazione;

    1976 – Interventi dei vincitori

    V. SERENI, Il mio lavoro su Char, 6 (1976), pp. XXV-XXVIII.

    C. V. CATTANEO, Per un assaggio della poesia portoghese, 6 (1976), pp. XXIX-XXX.

    B. REYNOLDS, In compagnia dell’Ariosto, 6 (1976), pp. XXXI-XXXIV.

    V Convegno: Le prime traduzioni dell’Ariosto

    G. FOLENA, Premessa, 6 (1976), pp. 1-2.

    E. BALMAS, Note sulla fortuna dell’Ariosto in Francia nel Cinquecento, 6 (1976), pp. 3-32.

    M. MORREALE, Appunti per uno studio sulle traduzioni spagnole dell’ Orlando Furioso nel Cinquecento, 6 (1976), pp. 33-72.

    B. REYNOLDS, I primi traduttori inglesi dell’ Orlando Furioso, 6 (1976), pp. 73-87.

    C. CASES, Le prime traduzioni tedesche dell’ Orlando Furioso, 6 (1976), pp. 89-106.


    VII volume – Edizione del Premio n. 7, (1978)    (Scarica intero volume in formato PDF )

    Comitato d’Onore; Il bando e la Giuria; Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – VI edizione 1976; Relazione della Giuria; Cronaca della premiazione edizione 7(1978);

    1977 – Interventi dei vincitori

    G. GIUDICI, Il mio lavoro su Sylvia Plath, 7 (1977), pp. XXV-XXIX.

    S. BORTOLI CAPPELLETTO, Traducendo Berg, 7 (1977), p. XXXI.

    P. DYERVAL ANGELINI, Come un parigino venne a tradurre Montale, 7 (1977), pp. XXXIII-XL.

     

    VI Convegno: La traduzione dei moderni nel Veneto, Diego Valeri e Leone Traverso

    G. FOLENA, Per Diego Valeri e Leone Traverso, 7 (1977), pp. 1-5.

    Lettere di Diego Valeri e Leone Traverso, 7 (1997), pp. 6-19.

    D. VALERI, Le Balcon di Baudelaire, versione inedita, 7 (1997), pp. 20-21.

    F. FORTINI, Da Mémoire di Rimbaud in memoria di Diego Valeri, 7 (1997), p. 22.

    E. BALMAS, Le traduzioni francesi di Diego Valeri, 7 (1977), pp. 23-32.

    C. CASES, Diego Valeri traduttore di poesia tedesca, 7 (1977), pp. 33-57.

    G. BEVILACQUA, Leone Traverso traduttore di poeti tedeschi, 7 (1977), pp. 59-66.


    Edizioni del premio n. 8 (1978)  (Scarica edizione 1978)

    Comitato d’Onore; Il bando e la Giuria; Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – VIII edizione 1978, Relazione della Giuria ; Cronaca della premiazione;

    1978 – Interventi dei vincitori

    E. CASTELLANI, I miei esperimenti di traduzione, 8 (1978), pp. XXIII-XXVIII.

    F. BACCHIEGA MINUZZO, Robinson Jeffers: un incontro, 8 (1978), pp. XXIX-XXXI.

    VII Convegno: Aspetti della traduzione teatrale

    L. SQUARZINA, Shakespeare e Molière sulle scene italiane, 8 (1978), pp.1-7.

    E. CASTELLANI, Brecht in Italia, 8 (1978), pp. 9-14.

    C. CASES, La macellazione del maiale (Fortini traduttore di Brecht), 8 (1978), pp. 15-19.

    C. G. DE MICHELIS, Le versioni italiane dello Zio Vanja di Čechov, 8 (1978), pp. 21-32.

    C. G. DE MICHELIS, Ricordo di Angelo Maria Ribellino (1923 –1978), 8 (1978), pp. 33-35


    Edizioni del premio n. 9 (1979)   (Scarica edizione 1979)

    Comitato d’Onore; Il bando e la Giuria; Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – IX edizione 1979; elenco opere concorrenti partecipanti al premio per una traduzione scientifica di filosofia della scienza o di epistemologia; Elenco delle opere partecipanti al Premio ‘Carlo Scarpa’; Relazione della Giuria ; Relazione della Giuria sul Premio ‘Carlo Scarpa’; Cronaca della premiazione;

    1979 – Interventi dei vincitori

    G. OREGLIA, Il mio compito di traduttore, 9 (1979), pp. XXIII-XXXIII.

    M. PERI, Confessione di un traditore, 9 (1979), pp. XXXV

    VIII Convegno: Teoria e problemi della traduzione in Europa

    M. VERLATO – A.L. PROSDOCIMI, Sulla “teoria” linguistica della traduzione, 9 (1979), pp. 1-20.

    R. ISELLA, “Tipo di testo” e atto traduttorio, 9 (1979), pp. 21-29.

    L. RENZI, “Nazione”: storia di una parola, 9 (1979), pp. 31-47.

    M. ALOISI, La traduzione scientifica, 9 (1979), pp. 49-58.


    Edizione del premio n.10, (1980)    (Scarica intero volume in formato PDF)

    Il bando e la Giuria; Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – X edizione 1980; Relazione della Giuria . Cronaca della premiazione;

    1980 – Interventi dei vincitori
    A. MOTTI, Il mio lavoro di traduttrice, 10 (1980), pp. XXXIII-XXXIV.

    A. PASSI, La mia traduzione del Buddhacarita, 10 (1980), pp. XXXV-XXXVII.

    L. SOSIO, Brutte e infedeli. Noterelle sul lavoro di traduzione, 10 (1980), pp. XXXIX-XLIX.

    E. SOLONOVI?, Sui margini di una traduzione poetica, 10 (1980), pp. LI-LIII.

    IX Convegno: Le traduzioni dal russo: In onore di Ettore Lo Gatto per i suoi novant’anni

    I. DE LUCA, Premessa, 10 (1980), p. 1.

    R. PICCHIO, Lo Gatto traduttore dal russo, 10 (1980), pp. 3-15.

    E. BAZZARELLI, Lo Gatto e la slavistica italiana, 10 (1980), pp. 17-24.

    C. G. DE MICHELIS, Le traduzioni dal russo nel Settecento (su una dimenticata versione dell’Ode a Elisabetta di Lomonosov), 10 (1980), pp. 25-31.

    G. SPENDEL, Un nobiluomo toscano, il primo traduttore di Puškin, 10 (1980), pp. 33-41.

    D. CAVAION, Le traduzioni italiane in versi dell’ Eugenio Onegin di Puškin, 10 (1980), pp. 43-63.

    S. LEONE, Traduzioni italiane dei Dodici di Aleksandr Blok, 10 (1980), pp. 65-72.

    S. PESCATORI, I lampioni sono poetici? La traduzione dei Drammi lirici di Blok: problemi di sinonimia, 10 (1980), pp. 73-89.


    Edizioni del premio n. 11 (1981)  (Scarica intero volume in formato PDF)

    Comitato d’onore; l bando e la Giuria; Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – XI edizione 1981 Relazione della Giuria pp. Cronaca della premiazione;

    1981 – Interventi dei vincitori

    A. FRASSINETI, I miei criteri di traduttore, 11 (1981), pp. XXIX-XXXI.

    C. NEGRO, Nota sulla traduzione della Bibbia come letteratura, 11 (1981), pp. XXXIII-XXXV.

    V. EMILIANI, Gusto dell’etologia, 11 (1981), p. XXXVII.

    M. DALMATI, La musica e gli strumenti, 11 (1981), pp. XXXIX-XL.
    X Convegno: Il mercato della traduzione

    S. PAUTASSO, Il mercato della traduzione, 11 (1981), pp. 1-3.

    M. L. BOSELLI, I grandi e i piccoli, 11 (1981), pp. 5-8.

    G. CUSATELLI, Il reclutamento, 11 (1981), pp. 9-11.

    C. FRUTTERO, L’elegante pollastrella,11 (1981), pp.13-15.


    Edizioni del premio n. 12 (1982) (Scarica intero volume in formato PDF)

    Comitato d’onore; l bando e la Giuria;   Elenco partecipanti al Premio ‘Città di Monselice per una traduzione letteraria’ – XII edizione 1982; Relazione della Giuria pp. Cronaca della premiazione;

    1982 – Interventi dei vincitori

    E. P. BRAUN, Dell’intraducibilità, 12 (1982), pp. XXI-XXII

    M. CARPITELLA, Impegno filologico, 12 (1982), pp. XXIII-XXIV.

    R. ZIPOLI, A proposito del Libro dei Consigli, 12 (1982), pp. XXV-XXVI

    L. CORNALBA, Il semplice e il complesso, 12 (1982), p. XXVII.

    XI Convegno: Tradurre Virgilio, esperienze italiane del Novecento

    F. M. PONTANI, Le traduzioni delle Bucoliche, 12 (1982), pp. 1-21.

    F. BANDINI, Pascoli e Quasimodo traduttori di Virgilio, 12 (1982), pp. 23-31.

    C. CARENA, Traduzione e traduzioni dell’ Eneide, 12 (1982), pp. 33-48.

  • Carlo Carena, Presidente della Giuria del premio di Traduzione

    Carlo Carena, Presidente della Giuria del premio di Traduzione

    IN RICORDO DI CARLO CARENA (1 novembre 1925 – 22 novembre 2023).

    Aveva compiuto da pochi giorni 98 anni. È uscito per la solita passeggiata mattutina e al ritorno ha avuto un attacco di cuore dall’esito rapido. Si è conclusa così, nella maniera meno traumatica, la lunga e operosa vita di Carlo Carena, a dieci anni più o meno esatti dalla scomparsa del suo grande amico e conterraneo Roberto Cerati. Lui di Borgomanero, Cerati di Cressa, a pochi chilometri di distanza. Due novaresi che hanno fatto la storia dell’Einaudi.

    Quando ancora Carena insegnava al liceo Rosmini di Domodossola, Cerati gli affidò la sua prima traduzione, Le tragedie di Eschilo. Siamo nel 1956 e il «Millennio» doveva uscire per Natale. Cerati faceva il corriere tra Torino e Domodossola per recuperare in tempo reale le ultime parti delle traduzioni appena sfornate consegnando le bozze di quelle precedenti. Carena non era contento di quella sua prima traduzione e giurò che non avrebbe mai più tradotto con ritmi così incalzanti. Per Einaudi ne ha fatte poi almeno una trentina, dal greco, dal latino e dal francese, tutte ben ponderate e nei tempi giusti. E parliamo di opere capitali come tutte Le poesie di Orazio, le Vite parallele di Plutarco, Le confessioni di Agostino, gli Adagia di Erasmo, i Pensieri di Pascal. L’ultimo lavoro ha riguardato una scelta dai Moralia di Plutarco intitolata L’arte della politica: ha spedito le ultime correzioni sulle bozze pochi giorni prima di morire. Ancora una volta ha consegnato nei tempi…

    Oltre al lavoro di traduttore e curatore di testi classici, Carena ha lavorato come interno della casa editrice dalla fine degli anni Sessanta ai primi anni Ottanta, come responsabile dei classici, come segretario generale e come direttore editoriale. Sotto la sua spinta i «Millenni» sono diventati una collana di riferimento per la letteratura greca e latina, proponendo nuove edizioni degli autori più famosi ma anche, per la prima volta, opere mai pubblicate prima interamente come l’Antologia Palatina in quattro volumi, la Storia naturale di Plinio in cinque volumi e L’arte dell’agricoltura di Columella.

    La sua predilezione era per una letteratura “morale”, cioè di pensiero, con un forte contenuto etico ma senza pesantezze filosofiche. Meglio ancora se scritta con uno stile elegante e non enfatico. Per questo è tornato continuamente su Plutarco e su Erasmo, che per il suo gusto concentravano tutte le migliori qualità letterarie. Eleganza, cordialità, ironia e bontà d’animo, che lui cercava negli scrittori, erano anche le sue fondamentali qualità umane. Tutti coloro che passavano a trovarlo nella sua splendida casa sopra il Lago d’Orta potevano godere dell’amabile conversazione sua e della sua amatissima Luciana in cui, a differenza di tanti altri salotti intellettuali, non albergava mai la malignità verso gli assenti. E tutti coloro che leggevano le sue recensioni nelle pagine domenicali del «Sole 24 Ore» potevano apprezzarne la chiarezza, l’arguzia, la capacità di rendere vive le discussioni dei classici senza mai forzature attualizzanti.

    Mens sana in corpore sano era un motto perfettamente incarnato in lui. Fino a qualche anno fa tagliava ancora personalmente la legna del suo bosco e fino all’ultimo, come si è detto, faceva una passeggiata tutte le mattine. Gli piaceva fondere in una sola persona l’intellettuale e l’uomo di campagna. L’amico interlocutore di Contini e Isella e il sodale dei contadini cusiani. Anche questo ne fa una figura indimenticabile e forse irripetibile.

    Carlo Carena è stato per tanti anni Presidente della giuria del PREMIO “CITTA’ DI MONSELICE” PER LA TRADUZIONE. La prima edizione del Premio è stata celebrata nell’Antica Pieve di Santa Giustina il 31 maggio 1971. Il premio, inventato dal professor Gianfranco Folena, ha catalizzato i massimi esponenti della letteratura e delle scienze nel panorama nazionale e internazionale. Monselice era punto di riferimento per gli studiosi e per i traduttori. L’elenco sarebbe lungo, forse troppo lungo per queste poche righe. Ma abbiamo, fortunatamente la storia del Premio e gli Atti dei convegni pubblicati grazie alla professionalità del prof. Gianfelice Peron e alla collaborazione con la casa editrice Il Poligrafo di Padova.

    Ha contribuito a promuovere e valorizzare l’immagine culturale di Monselice a livello nazionale e internazionale come Presidente del Premio di traduzione. Ha, inoltre, coordinato il lavoro dei suoi colleghi di giuria operando i necessari collegamenti con le altre istituzioni culturali italiane, ricevendo consensi e apprezzamenti che hanno elevato il valore intellettuale della manifestazione. Grazie alla sua attività e alla sua profonda convinzione che la traduzione sia una importante forma di comunicazione culturale tra popoli e culture di ogni angolo della terra, Monselice ha conosciuto i maggiori poeti, scrittori, traduttori e letterati contemporanei. Peccato che le recenti Amministrazioni Comunali non hanno continuato dopo il 2012 questa tradizione della traduzione a Monselice. Non è questa la sede per una sterile polemica, ma unicamente per per ribadire il mio rammarico.

    Il consiglio comunale ha conferimento a Carlo Carena della Cittadinanza Onoraria votata all’unanimità dal Consiglio Comunale di Monselice con delibera n.24 del 27 dicembre 2003. Il professor Carena ci ha lasciati il 22 novembre 2023 a Vacciago, nella sua casa affacciata sul lago d’Orta e il Monte Rosa. Il mio auspicio è di poterlo ricordare almeno dell’anniversario della sua morte o nel centenario della sua nascita che ricorre nel 2025, magari in suo onore e ricordo diventasse un nuovo spunto per riprendere il Premio stesso, per ridargli vita nuova. Avremmo i riflettori culturali puntati su Monselice e faremmo un atto nobile di giustizia e di lungimiranza storica. Nutro ancora la speranza che Monselice accolga questo spunto culturale per il bene della città e della cultura in generale. 

    Nella foto: l’Assessore Riccardo Ghidotti stringe la mano al Professor Carlo Carena, alla presenza del Sindaco Fabio Conte durante la cerimonia di consegna della Cittadinanza Onoraria al Presidente della Giuria del Premio Città di Monselice per la Traduzione.

     


    © 2024 a cura di Flaviano Rossetto

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  • Antonio Daniele ha fatto parte della giuria del Brunacci

    Antonio Daniele ha fatto parte della giuria del Brunacci

    Antonio Daniele, (1946-2023) ha concluso il suo impegno di insegnamento nel 2016 presso l’università di Udine come docente ordinario di Storia della lingua italiana e Filologia italiana. In quanto italianista, i suoi interessi si sono concentrati in particolar modo sulla lingua e letteratura del Cinquecento e Seicento. Ha realizzato alcuni saggi su Torquato Tasso (Capitoli tassiani e Nuovi capitoli tassiani, Antenore, Padova 1983 e 1998), sui due massimi scrittori plurilingui Folengo e Ruzzante (Folengo e Ruzzante. Dodici studi sul plurilinguismo rinascimentale, Esedra, Padova 2013). Si è occupato di questioni di filologia e metrica (Linguaggi e metri del Cinquecento, Marra, Cosenza 1994).

    Ha dedicato una monografia A Carlo de’ Dottori intitolata Carlo de’ Dottori. Lingua, cultura e aneddoti, Antenore, Padova 1986; del Dottori ha anche pubblicato le edizioni critiche della Galatea (Commissione per i testi di lingua, Bologna, 1977) e dell’Asino (Laterza, Bari 1987). Ha condotto degli studi sulla lirica petrarchesca in volgare e sul Trecento in generale, noti con il titolo La memoria innamorata. Indagini e letture petrarchesche, Antenore, Roma-Padova, 2005; ha curato un volume miscellaneo relativo alle Lingue del Petrarca (Forum, Udine 2005). Ha realizzato un’edizione commentata Delle Rime di Giovanni Dondi dell’Orologio (Neri Pozza, Vicenza 1990). Ha raccolto ed edito inoltre i poemetti in dialetto veneto di Romano Pascutto (L’acqua, la piera, la tera e altre poesie (Marsilio, Venezia 1990), nonché le sue liriche italiane (Nostro tempo contato e altre poesie edite e inedite (ancora Marsilio, 2003). Si è occupato di storia aneddotica della Grande Guerra noti con il titolo di Magnaboschi. Storie di guerra, di scrittori e d’altopiano (Cierre Edizioni, Sommacampagna 2006) e La guerra di Gadda (Gaspari, Udine 2009). Ha rivolto la sua attenzione soprattutto alla poesia e alla prosa contemporanea, specie veneta: Dal centro al cerchio. L’esperienza narrativa di Luigi Meneghello (Cleup, Padova 2016) e Nostro Novecento (ancora Cleup, 2018). È stato presidente dell’Accademia Galileiana di Padova dal 2018 al 2023, è stato inoltre membro dell’Accademia Olimpica di Vicenza e dell’Accademia della Crusca.

     


     

  • Vincitori 2020 edizione 35^

    Vincitori 2020 edizione 35^

    VINCITORI DELLA 35^ EDIZIONE 2020
    La premiazione ha avuto luogo domenica 14 novembre 2021 (Rinviata dal 2020 causa pandemia)
    Hanno partecipato al concorso 2020 n. 62 opere così suddivise: 1 ricerche nella sezione riservata alla scuola dell’obbligo; 5 tesi di dottorato; 16 pubblicazioni relative al padovano; 25 opere di storia veneta; 15 libri nella sezione riservata alle montagne venete. La giuria presieduta dal prof. Antonio Rigon è composta da: Dario Canzian, Chiara Ceschi, Antonio Daniele, Franco Fasulo, Antonio Lovato, Fabrizio Magani,  Andrea Parolo, Walter Panciera, Enrico Zerbinati e Flaviano Rossetto (Segretario) ha individuato i vincitori di seguito elencati.
    Invito  premiati 2020  [ clicca qui ]
    PREMIO SIGILLUM MONSILICIS

    destinato a uno studioso della storia e civiltà veneta

    La giuria ha assegnato il premio all’opera di

    Luca ROSSETTO, Potere e giustizia nel Veneto di Radetzky. La Commissione militare in Este (1850-1854). Edito da Marsilio nel 2019.

    Lo studio di un originale organismo giudiziario pensato e voluto dal feldmaresciallo Radetzky all’indomani del biennio rivoluzionario del 1848-1849 per reprimere un allarmante fenomeno di azioni predatorie (furti violenti e rapine) in Bassa Padovana e in Polesine, nel quadro di una più ampia e inconsueta strategia politica avallata da Vienna per la gestione dei rapporti con i notabilati e con le comunità del Veneto asburgico. Una ricerca che indaga nello specifico quali furono le origini della Commissione militare in Este, che tipo di procedura adottò, come fu percepita la sua azione dalle realtà che ne vennero investite, in che modo tale attività fu rappresentata dai protagonisti della stessa, dalla storiografia coeva e dalla successiva e, infine, quali reazioni suscitò da parte delle comunità medesime. Un viaggio attraverso un’istituzione simbolo del potere e della giustizia del Veneto austriaco di Radetzky e di Francesco Giuseppe. Luca Rossetto è ricercatore e docente di Storia delle istituzioni politiche presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si occupa in particolare di area veneta in antico regime e nel XIX secolo. Autore del libro Il commissario distrettuale nel Veneto asburgico. Un funzionario dell’Impero tra mediazione politica e controllo sociale (1819-1848) (Bologna 2013), per Marsilio ha curato il volume La città disvelata. Luoghi e percorsi della giustizia nella Vicenza asburgica (2016).

    MOTIVAZIONE: Per l’originalità e per l’approccio metodologicamente sicuro a una tematica legata alla giustizia criminale e ai suoi risvolti politici durante la dominazione austriaca post-1848.

    Il volume di Rossetto è costruito attorno alle carte processuali della Commissione militare straordinaria costituita nella primavera del 1850 dal governo austriaco e che si trovano conservate nell’archivio di stato di Venezia. La documentazione è poi integrata dalla documentazione di altri archivi delle ex province del Lombardo-Veneto, degli archivi viennesi e da una sapiente scelta bibliografica. La Commissione operò di fatto fino alla fine del 1853 nei territori di Rovigo, Padova e Mantova per la repressione dei 17 gravi reati che il Radetzky aveva elencato nel suo proclama di Milano del 10 marzo 1849, in pieno stato d’assedio, e che andavano dall’alto tradimento alla rapina, dalla detenzione di armi all’oltraggio verso i militari austriaci.  Le ricerche di Rossetto chiariscono come questo tribunale speciale si dedicasse in realtà alla repressione delle gravi forme di banditismo/brigantaggio che nell’area suddetta si aggravarono dopo il 1848, rispondendo così efficacemente alle esigenze di controllo espresse dalle élite locali di vecchia e di nuova formazione. Accompagnato e seguito nei decenni successivi da un’azione intesa a propagandare i risultati e ad accompagnarli, ad esempio, con attività assistenziali dirette ai familiari degli inquisiti, il lavoro della Commissione si distingue per la sua inusitata durezza: 1200 processi in soli quattro anni,  di cui un terzo conclusi con condanne a morte e gli altri quasi sempre con dure pene detentive. L’analisi di Rossetto, che passa dall’origine del tribunale, al suo funzionamento, al modo in cui viene colto e rappresentato il suo operare, si completa attingendo al rapporto tra le comunità coinvolte e l’autorità pubblica, nel quadro di un’azione repressiva nei confronti delle bande organizzate più pericolose e con il consenso della maggior parte degli attori coinvolti, in primo luogo i latifondisti e gli altri notabili  della basa padovana, mantovana e del Polesine.  Si trattò di una scelta di politica criminale eccezionale, chiaramente appoggiata dalla chiesa, spiega Rossetto, sulla quale i sudditi veneti e lombardi espressero un generalizzato apprezzamento, tranne forse per il caso di resistenza frapposta dalla comunità di Piacenza d’Adige, per la quale l’alto numero di processi (70) e al converso il basso numero di condanne testimoniano dell’omertà e della resistenza di una contrada di fiume, cellula di piccoli proprietari decisi a preservare il loro precario benessere in qualsiasi modo possibile.  Infine, grazie soprattutto all’attenta analisi del caso ben noto del bandito Francesco Tenan detto Pipon di Guarda Veneta (capitolo 3), Rossetto destruttura le varie mitologie e le distorsioni storiografiche legate alla figura del bandito sociale o peggio ancora a quella dell’eroe risorgimentale, per restituire alla realtà del contrabbando e della criminalità organizzata, per nulla miserabile né rispettabile, il posto (esecrabile) che merita nella storia.  (Walter Panciera)

    Segnalato per un libro sulla storia veneta

    Ettore CAMUFFO, Venezia città delle asimmetrie. Venezia, Marsilio 2019.

    Il libro contiene una serie di inedite chiavi di lettura su Venezia, aspetti noti e meno noti attraverso le lenti delle sue particolarissime asimmetrie. Dalle origini alla singolarità delle sue architetture, da riflessioni storiche, economiche e culturali al secolare e continuo conflitto tra mare e terra, tra insabbiamenti, indesiderati apporti di fiumi e invasioni marine. Una laguna paradossalmente opera più dell’uomo che della natura, equiparabile alle mura delle antiche città fortificate. Fino a svelare l’anomala asimmetria tra vero e falso attraverso la storia intrigante della Carta nordatlantica in possesso di un nobile veneziano del Cinquecento, Nicolò Zeno, che tentò di attribuire a Venezia, con insperato successo, la primogenitura della scoperta dell’America. La stessa Carta che Elisabetta i d’Inghilterra usò per sostenere, davanti al mondo di allora, il proprio diritto alle conquiste coloniali inglesi. Per quattro secoli, attorno alla sua autenticità e all’attendibilità del racconto a cui si accompagnava, si è svolta una vera e propria battaglia culturale e scientifica che ha coinvolto, senza esiti definitivi, storici, geografi, cartografi e studiosi del mondo anglosassone ed europeo. Lo studio particolareggiato di un antico documento veneziano, quasi dimenticato negli archivi della Bibliothèque nationale de France, conclude il volume permettendo un’analisi completamente diversa e risolutiva di questo piccolo ma coinvolgente giallo storico (tratto dalla prima di copertina). Ettore Camuffo, nato a Venezia nel 1945, laureato in Sociologia del lavoro e della comunicazione, ha insegnato Economia aziendale. Curatore di mostre museali e di artisti contemporanei internazionali, associato a una ricerca nazionale del cnr sulla valorizzazione dei beni artistici italiani, ha collaborato a lungo con Christo e Jeanne-Claude – di cui ha curato la biografia italiana – fino a far parte dello staff del progetto The Floating Piers realizzato nel 2016 sul Lago d’Iseo.

    MOTIVAZIONE: L’autore ha un’immagine avvincente e originale di Venezia, ben lontana dal lamento superfluo sulla tradizione smarrita dalla città contemporanea, a cui siamo abituati. Anticipando, con questo libro giunto alla seconda edizione nel 2020, l’augurio per i 1600 anni dalla fondazione (2011), Ettore Camuffo guarda Venezia nel modo più concreto, ritrovandola nella sapienza nel deviare le acque, nei segreti nel costruire una gondola, passando al tema delle “Grandi navi” e del “Mose”. Pare affiorare la passione dell’archeologo, che riesce ancora a leggere una stratigrafia di scavo nella doppia dimensione spazio-temporale che racchiude in sé la forza della vita: la attraversa con la corrente della storia, fatta di opere di pregio ma anche di schegge minute, che però ci fanno guardare la profondità del vissuto. Oltre che amore e dedizione, nell’autore c’è la capacità di incantare con la buona scrittura, tipica (e rara) di chi sa raccontare le storie che riaffiorano nel tempo. (Fabrizio Magani)

     


    Segnalato per un libro sulla storia veneta

    Andrea FERRARESE, Il Liber pertichationis di Legnago (1419-1420). Società, paesaggio rurale, proprietà fondiaria e ‘mercato della terra’ nella Terraferma veneta del primo Quattrocento. Verona, Fondazione Matilde Avrese 2020.

    Questa monografia, lievitata nel tempo per successive stratificazioni da quel sorprendente magma documentario depositatosi tra le carte del Liber Pertichationis di Legnago, costituisce un primo contributo di una più ampia ricerca dedicata alla quasi -città atesina tra l’inizio della dominazione veneziana e la fine della guerra di Cambrai.Un torno di anni, quest’ultimo, decisamente trascurato sia dalla storiografia veronese dedicata al contesto legnaghese -e a prescindere da pionieristici e fondamentali saggi promossi quasi trent’anni or sono da G.M. Varanini sulla base della documentazione fiscale e anagrafica disponibile per gli anni ’30 del XV secolo -quanto soprattutto dagli scarsissimi (e assai datati) contributi ‘locali’, pertanto poco attratti dall’apprezzabile documentazione archivistica superstite e incanalati piuttosto negli stilemi di una scarsa narrazione …

    MOTIVAZIONE :Il volume propone una minutissima indagine microstorica. La relativa rarità della fonte a cui si fa riferimento, una ‘misurazione di tutti i campi di ogni persona’, spremuta “come un limone” (dall’introduzione di G.M. Varanini), ne fa un lavoro davvero esemplare, pur nella limitatezza dell’orizzonte geografico e cronologico. Si tratta di una vera e propria istantanea con una grandissima precisione di dettaglio. Il metodo rigorosamente scientifico con cui la fonte è trattata dall’autore rappresentano una garanzia sull’affidabilità dei risultati ottenuti.  (Dario Canzian)


    Segnalato per un libro sulla storia veneta

    Antonio LORA con Vittorio BOLCATO, Roberto NEGRI (a cura di), Gli anni d’oro della cultura di Arzignano. La scuola di Antonio Pellizzari 1951-1955. Cornedo Vicentino, Media Factory c/o Tipografia Danzo 2019


    LIBRO SULLA STORIA DEL PADOVANO

    La giuria ha assegnato il premio a

    Gregorio PIAIA, Pietro d’Abano. Filosofo medico e astrologo europeo. Milano, Franco Angeli 2020.

    Il libro racconta di questo personaggio vissuto a cavallo del 1300, che si presenta come filosofo, medico e astrologo e può suscitare oggi curiosità, ma poi non si va oltre qualche aneddoto. Certo, si può sempre giocare sulla leggenda del mago e sulle accuse di eresia di cui fu oggetto, ma capiremmo ben poco di questa straordinaria figura di uomo di scienza, animato da un desiderio di sapere che da Padova lo spinse sino a Parigi e a Costantinopoli. Sì, perché per comprendere il mondo intellettuale dell’Aponense occorre tener presente il modo in cui nel tardo medioevo era inteso il “fare scienza”: un modo senza dubbio diverso dal nostro, ma che ha posto le premesse per lo straordinario sviluppo della moderna indagine scientifica, al quale lo Studio di Padova ha offerto un contributo di prim’ordine (tratto dal risvolto di copertina). Gregorio Piaia (Belluno, 1944) è professore emerito di Storia della filosofia presso l’Università di Padova. La sua professione scientifica ha seguito tre direttrici: il pensiero tra il trado medioevo e la prima età moderna (Sapienza e follia. Per una storia intellettuale del Rinascimento europeo, Pisa-Firenze 2015), storia e teoria della storiografia filosofica (Tra Clio e Sophia: La storia della filosofia tra e problema, Padova 2017), la filosofia nel Veneto (Le vie dell’innovazione filosofica nel Veneto moderno 1700-1866, Padova 2011)

    MOTIVAZIONE

    Questo volume inaugura una collana dell’editore milanese FrancoAngeli, Clarissimi, che ha la finalità di proporre in forma divulgativa le “più significative esperienze e testimonianze del mondo accademico” padovano. Si tratta di una iniziativa maturata nel novero delle molte attività promosse per la celebrazione dell’ottocentenario della fondazione dell’Università patavina, che si celebrerà nel 2022. Pubblicato con il contributo del “Centro per la Storia dell’Università”, il libro adempie ad una delle tre funzioni che l’Università oggi si propone, oltre alla ricerca e alla didattica, ovvero la disseminazione al di fuori del contesto strettamente accademico o scientifico degli esiti del lavoro quotidiano dei docenti e dei ricercatori. La figura che è stata individuata per aprire la serie dei clarissimi è quella di Pietro d’Abano, grande intellettuale contemporaneo di Dante Alighieri. Della stesura della monografia si è incaricato Gregorio Piaia, professore emerito di Storia della Filosofia presso l’Ateneo di Padova, dove il professor Piaia ha insegnato per tanti anni. Il libro che ne è scaturito è prima di tutto un esempio pregevole della capacità di coniugare rigore scientifico e capacità comunicativa. Impresa non facile, dato che la figura di Pietro d’Abano è molto complessa, poiché, come era prassi per gli uomini di cultura dell’epoca, assommava in sé molte competenze che oggi apparterrebbero a campi dello scibile considerati poco comunicanti: la filosofia, la medicina, l’astronomia-astrologia, la botanica, la filologia, la teologia. Pietro Era inoltre un intellettuale cosmopolita – in questo si può leggere un tratto di grande modernità – poiché aveva frequentato l’università di Parigi, dove forse aveva anche insegnato, ma aveva anche soggiornato a Costantinopoli per apprendere il greco e accostarsi così direttamente ai testi degli antichi medici e filosofi. Egli però non fu soltanto un erudito: la sua infaticabile curiosità intellettuale e l’influsso dei testi aristotelici lo spinsero ad accostarsi al mondo dei fenomeni fisici con un un approccio esperienziale. A lui si attribuiscono, ad esempio, le prime dissezioni di cadaveri. Queste sue attitudini gli procurarono a più riprese problemi con il tribunale dell’Inquisizione, che lo accusò di eresia per le sue posizioni sull’origine dell’anima. E gli valsero anche una fama ingiustificata, ma molto tenace, di mago e negromante. Gregorio Piaia affronta questi e altri aspetti della personalità di Pietro d’Abano, mettendone in luce perfettamente il ruolo importantissimo svolto nella storia del pensiero e della scienza. Se anche, infatti, molte delle sue formulazioni, in particolare quelle collegate all’influsso degli astri sulle vicende umane – pure considerate da Pietro sempre secondo criteri razionali! – sono finite in soffitta a causa delle rivoluzioni scientifiche dei secoli successivi, resta l’importanza del suo metodo d’indagine: “un’indagine che ha come obiettivo principale non la contemplazione del creato, bensì lo svelamento della sua natura e delle leggi che la governano, in modo da porre la natura al servizio dell’uomo, creatura superiore a tutte le altre perché immagine di Dio. È da questa rivoluzione culturale, a ben vedere, che ha il suo inizio la modernità, tre secoli prima di Francesco Bacone e di Galileo Galilei” (p. 69). Gregorio Piaia ha una particolare cura nel collocare il nostro medico-filosofo nel mondo brulicante di fermenti e personaggi che animarono la vita culturale dell’intero occidente europeo tra la seconda metà del XIII secolo e i primi decenni del successivo. Di questo mondo, Padova con la sua università, era senza dubbio una capitale, e Pietro d’Abano un protagonista indiscusso. Basti pensare che alla dettatura del suo testamento erano presenti il poeta-storiografo Albertino Mussato e il grande pensatore Marsilio Mainardini. Un’ultima notazione deve essere fatta al tono e allo stile dell’autore della monografia: il lettore non potrà non essere sorpreso dalla levità e dalla piacevolezza della scrittura, che anche quando non rinuncia ad affondi nel mondo assai complesso della circolazione dei saperi dell’epoca di Pietro d’Abano, lo fa con leggerezza venata di garbata ironia. Come quando a chi volesse sperimentare la ricetta sconcertante proposta da Pietro d’Abano per far fronte ad un’intossicazione da piombo, suggerisce “una certa cautela”. Il libro che oggi premiamo, in conclusione, si raccomanda per la vivacità e la ricchezza dei suoi contenuti, ma anche per il rispetto nei confronti del lettore, specialmente di quello non specialista, che troverà in queste pagine una via di accesso agevole e affascinante mondo intellettuale del tardo medioevo italiano ed europeo.  (Dario Canzian)

     

     


    Segnalato per un libro sulla storia padovana

    Franco BENUCCI, Matteo CALZONE (a cura di), La ‘donazione de Mabilia’ nella cattedrale di Montepeloso. Nuove prospettive di ricerca. Padova, Esedra 2019.

    Il libro spiega l’origine storica e l’emergenza artistica della cosiddetta ‘donazione’ di Roberto de Mabilia alla cattedrale di Montepeloso. L’opera è da tempo al centro dell’interesse di un gruppo di ricerca interdisciplinare incardinato presso il Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità (DiSSGeA) dell’Università di Padova che, in un progetto condotto in stretta collaborazione con il Centro Studi Robertus de Apulia, indaga sull’origine del culto per sant’Eufemia a Irsina (Matera) e sulle numerose opere d’arte del Rinascimento veneto che a tale culto sono connesse. Il presente volume – che raccoglie i contributi di Franco Benucci, Vittoria Camelliti, Elena Cera e Marco Scansani, Matteo Calzone, Manlio Leo Mezzacasa, Raffaele Trabace, Giuseppe Laquale e Arguljana Kala, Barbara Improta e Martina Avogadro – presenta le più recenti acquisizioni storiche e storico-artistiche e le nuove prospettive di ricerca che si sono così aperte, nonché le risultanze delle indagini non invasive condotte nel novembre 2018 sul quattrocentesco Crocifisso della cattedrale di Irsina e i progetti per un analogo intervento conoscitivo sulla statua di Sant’Eufemia della stessa cattedrale, promosso dalla Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio della Basilicata in vista di successive azioni di pulitura e restauro dell’opera di maggior pregio della ‘donazione de Mabilia’ (tratta dalla IV di copertina dell’opera).

    MOTIVAZIONE: Il volume è animato dal gruppo di ricerca interdisciplinare presso il Dipartimento di Scienze storiche, Geografiche e dell’Antichità dell’Università di Padova, che ha operato in stretto contatto con il Centro Studi Robertus de Apulia di Irsina e con la Soprintendenza di Basilicata. E’ trattato l’approfondimento – con nuove acquisizioni archivistiche e diagnosi tecnico-scientifiche – della vicenda collezionistica che ha legato la figura del religioso Roberto de Mabilia alla Cattedrale di Irsina, l’antica Montepeloso, in Basilicata. Una storia quattrocentesca che parte da Padova, attraverso il trasferimento di opere “mantegnesche”, ma anche di un prezioso reliquiario e di un fonte battesimale, che raggiunsero la lontana destinazione da cui proveniva il prelato. Il lavoro si distingue per l’attenta ricostruzione documentaria, che si sovrappone ai risultati diagnostici e agli esiti del restauro, fornendo un ritratto, sostanzialmente nuovo, di Roberto de Mabilia; oltre a calibrate conclusioni sull’ambiente culturale della Padova quattrocentesca e dei contesti materiali e stilistici che accrescono l’interesse delle opere. (Fabrizio Magani)


    Segnalato per un libro sulla storia padovana

    Dino SCANTAMBURLO, Fra legge e coscienza. Storie di ebrei sfollati accolti a Camposampiero e nel Camposampierese. 1940-1945. Presentazione di Liliana Segre. Villa del Conte, Bertato 2019.

    Si parla dell’accoglienza: un tema controverso nel dibattito sociale e politico. Questo libro sorprende e incuriosisce perchè svela vicende sconosciute, coinvolgenti e racconta fatti inediti impensati di accoglienza e ospitalità offerta da camposampieresi a cittadini e famiglie ebraiche a rischio di cattura e di sterminio, negli anni del secondo conflitto mondiale. Fra le brutalità qui descritte compiute dal nazifascismo emerge il comportamento che Dino Scantamburlo vuole far conoscere ai lettori: i nostri nonni, nella semplicità di vita e nella povertà di istruzione e di mezzi economici, ci hanno comprovato che accoglienza e ospitalità sono possibili allo stesso modo nei confronti di italiani e stranieri, di persone conosciute e di persone ignote -ebrei e sfollati- di uomini di culture, fedi e tradizioni differenti. Non hanno badato alle affinità o alle differenze etniche, religiose, sociali, anche importanti, ma al fatto che si trattava di persone, e che, dunque, la coscienza doveva imporsi su leggi e norme per salvarle comunque. Ciò è bastato a loro. Quando si trattò di scegliere fra legge e coscienza la stragrande maggioranza dei cittadini di Camposampiero non ebbe dubbi. Grazie a figure eminenti come l’arciprete, mons. Rostirola, ma anche a tanti semplici cittadini ci si industriò, con grave rischio personale, a salvare persone, a trovargli ricovero e nascondiglio, a favorirne la fuga. Quella che il libro ricostruisce con grande cura e autentica partecipazione non è storia minore, ma quella storia pure importante che, conosciuta e trasformata in coscienza civile, davvero è Magistra Vitæ. Un libro di testimonianze autentiche scritto con stile intenso e partecipe, i cui protagonisti si ripresentano nei tornanti della storia, che oggi si ripete in altre forme, e che additano nell’apertura delle menti e dei muri la condizione per progredire tutti in umanità e convivenza (tratto dal risvolto e dalla quarta di copertina).

    MOTIVAZIONE: Il volume viene segnalato per il suo valore memoriale e per l’alto valore civile di un’attenta ricostruzione storica che restituisce ai ‘giusti’ del territorio di Camposampiero il merito di avere mantenuto alti, in circostanze terribili, i valori della solidarietà, della libertà e dell’umana condivisione. Il libro offre nella sua prima parte una puntuale ricostruzione dell’ospitalità e del sostegno offerto dalle famiglie di Camposampiero a circa 40 cittadini di origine israelita tra il 1943 e il 1945, spesso ma non sempre purtroppo riuscendo nel difficile e pericoloso compito di sottrarli alla persecuzione nazi-fascista. A complemento vengono offerte le testimonianze sui casi di tre militari del luogo deportati in  Germania. La seconda parte del libro offre, invece, uno spaccato sulla vita nel paese tra l’autunno 1944 e la Liberazione, rievocando i fenomeni delle vessazioni, dei bombardamenti (144 incursioni degli alleati volte all’interruzione della linea ferroviaria), degli sfollati. Nel complesso, il lavoro di Dino Scantamburlo è prezioso non solo per la costruzione della memoria storica in sede locale, ma per la rilevanza assoluta degli esempi offerti, per i quali del resto fa fede il testo premesso dalla Senatrice a vita Liliana Segre (Walter Panciera).


    Segnalato per un libro sulla storia padovana

    Giovanna VALENZANO (a cura di), Un castello per la signoria carrarese, un castello per la città. Arte di corte in un monumento in trasformazione. Padova, UP 2019.

    Il libro è caratterizzato da una nuova campagna fotografica e un’attenta scelta delle molte immagini conservate negli archivi della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Venezia e le Province di Belluno, Padova e Treviso. Esse permettono di addentrarci tra le mura medievali del castello di Padova, di scoprire le fasi dell’antica struttura fortificata sorta nell’angolo del perimetro urbano. La torre del dongione realizzato da Ezzelino fu inglobata nel castello costruito per volontà di Francesco il Vecchio su progetto dell’ingegnere veronese Nicolò della Bellanda. L’architettura simbolo del potere della signoria carrarese ebbe breve durata: nel 1405 fu consegnata a Venezia. Prima sede di magistrature, dopo magazzino divenne poi un carcere. Il castello carrarese era dipinto sia all’esterno sia all’interno. Lo studio degli affreschi ritrovati, di straordinaria qualità, aiuta a ritessere i fili perduti della memoria, a comprendere meglio quel fenomeno internazionale denominato Arte di Corte. Un libro di storia dell’arte, che pone le premesse metodologiche dei restauri futuri e spiega i processi e le azioni di tutela che hanno salvato il castello dalla cartolarizzazione per restituirlo alla città (tratto dalla quarta di copertina).


    Segnalato per un libro sulla storia padovana

    Maria Cristina ZANARDI (a cura di), Lettere dei soldati del Manicomio di Padova. Siena, Nuova Immagine 2020.

    Il dramma dei soldati della Grande Guerra colpiti da traumi psichici, riportato in prima persona dai protagonisti ricoverati nei manicomi; la loro drammatica esperienza, negata e rimossa nel tentativo di attribuzione del disagio psichico, causato dal conflitto, a devianze o degenerazioni in individui già predisposti. È questo il quadro che emerge dalla commovente lettura delle lettere dei soldati trascritte a distanza di un secolo dalla fine del primo conflitto mondiale (tratto dalla quarta di copertina).

    MOTIVAZIONE Il volume a cura di Maria Cristina è composto dalla paziente e meticolosa trascrizione delle missive dei soldati della I Guerra Mondiale colpiti da traumi psichici riportati al fronte. La riscrittura ha comportato numerose difficoltà, perché le lettere registrano le povere capacità espressive dei mittenti, non solo in quanto “scemi di guerra”, ma molto probabilmente anche per una pregressa ‘ignoranza’ scolastica dell’italiano: la sintassi, la grammatica, l’ortografia, la punteggiatura ecc. spesso sono decisamente errate o zoppicanti e storpiate. Inoltre va evidenziato l’uso frequente del vernacolo. Per tutte queste anomalie e particolarità il carteggio potrebbe destare l’interesse di linguisti, glottologi e dialettologi (Enrico Zerbinati).

    LIBRO SULLE MONTAGNE VENETE

    La giuria ha individuato due libri vincitori  ex aequo

    Giuseppe GRAVA, Giovanni TOMASI, La fienagione nelle Dolomiti venete. Costabissara, Angelo Colla 2012.

    Nell’opera viene ripresa la tematica della fienagione, allargando l’area di investigazione dalle Prealpi venete alla parte settentrionale della provincia di Belluno, fino al Cadore e all’isola germanofona di Sappada, investigazione tanto più preziosa quanto più rari e difficili da reperire sono diventati i materiali dialettologici, noti a un numero di informatori sempre più esiguo. La conoscenza delle tecniche della fienagione, legate ai saperi tradizionali, è ormai patrimonio in estinzione: lo stesso autore ha sottolineato la difficoltà nel trovare parlanti nativi con adeguata esperienza nella cultura materiale, specie in alcune aree montane della provincia di Verona e di Vicenza, cosiddette le località germanofone cosiddette ‘cimbre’ e al massiccio del Baldo; ne è derivata di conseguenza la necessità di integrare le raccolte dirette sul ‘campo’ con numerosi vocaboli dialettali che in questi ultimi anni sono stati pubblicati. L’area indagata nel volume comprende il Cadore, Zoldo e l’Agordino e le inchieste dialettologiche sono corredate, come ricorda l’autore, di circa 260 fotografie (comprese alcune del primo Novecento), 50 carte linguistiche (che riguardano le Dolomiti o in molti casi Dolomiti e Prealpi), una dozzina di tavole per le tregge, viste di fronte e di sopra, tutte disegnate in scala, un indice dei concetti, un indice dei punti delle indagini e relativi informatori (nomi e data di nascita), note per il lettore e bibliografia essenziale. L’ inchiesta si estende alla parlata germanofona di Sappada, che ha un interesse specifico per essere ancora depositaria di una varietà linguistica che riflette le antiche fasi del tedesco e che essere allo stesso tempo confrontata con i dialetti presumibilmente di origine carinziani e stiriani, a cui già M. Hornung aveva dedicato nel 1972 in Wőrterbuch der deutschen Sprachinselmudart von Pladen/Sappada in Karnien (tratto dalla Presentazione del libro).

    MOTIVAZIONE: Il libro  è una documentata ricerca etnografica e dialettologica (riferita a Cadore, Zoldo e Agordino), con una ricca documentazione grafica e iconica relativa in particolare alle attrezzature più arcaiche (e corrispettive denominazioni locali) adoperate per la fienagione. Si tratta della continuazione di un precedente lavoro, La fienagione nelle Prealpi venete (edito sempre dalla Fondazione Cini nel 1996) e rappresenta un tipo di inchiesta lessicale (come si spiega bene già nell’Introduzione) che si fa di anno in anno più problematica e quasi impossibile per la sempre più evidente scarsità di informatori. Anche una sua ideale continuazione nei territori  alto vicentini e alto veronesi, che pure sarebbero potuti entrare di diritto in questo quadro di indagini, si è dovuta tralasciare per la  progressiva sparizione di  una cultura materiale così soggetta a nuove tecniche meccanizzate di agricoltura e di allevamento del bestiame o, nel peggiore dei casi, per il progressivo abbandono di attività e pratiche secolari non più consone alla vita moderna in quanto insufficientemente redditizie.

              La ricerca è articolata su 83 concetti-chiave, a loro volta ripartiti in quattro sezioni: Gli attrezzi della fienagione, I lavori della fienagione, Il trasporto del fieno e I fienili e la stalla. Ognuna di queste sezioni è argomento di inchiesta dialettologica, effettuata punto per punto, trascelto secondo il sistema degli atlanti linguistici e la ricerca di informatori adeguati, vale a dire parlanti nativi delle singole zone e in grado di garantire all’intervistatore quella competenza determinata dalla pratica attiva e da una affidabilità linguistica che si deve misurare volta per volta per ogni singolo testimone.

                Il lavoro, come si può immaginare, è determinato da uno sforzo di pazienza tra inquirente e informatori, verso i quali il suggerimento iniziale (l’indicazione dell’oggetto o del concetto) e la domanda lessicale specifica deve essere bene calibrata e perspicua, per non cadere in fraintendimenti o ancor peggio in disagio comunicativo. La parte linguistica e più cospicua dell’opera è affidata a Giovanni Tomasi; la parte grafica  (vale a dire la illustrazione figurativa di alcuni strumenti agricoli e le tavole dell’atlante (con la scelta di 31 punti di indagine) a Giuseppe Grava. Non mancano tuttavia anche illustrazioni fotografiche degli oggetti in questione e dei modi del loro utilizzo: fatto questo che rende molto perspicuo il nesso tra la singola cosa, le sue varie realizzazioni funzionali e le varie designazioni dialettali che la  caratterizzano.

                 Lo strumento che qui si offre alla comunità degli studiosi (pur nella sua parzialità tematica e geografica) si inserisce nella nobile tradizione italiana dei grandi atlanti dialettologici: accenno  qui solo all’opera di Paul Scheuermeier, di Ugo Pellis e Giovan Battista Pellegrini (ispiratore e maestro di Tomasi), come giustamente ha ricordato anche Maria Teresa Vigolo nella sua breve ma illuminante.                                                                                                            [Antonio Daniele]


    Stefano PIAZZA, Il Veneto e la montagna. Sul crinale tra istituzioni e territori. Torino, Giappichelli 2016.

    Il libro approfondisce l’esplorazione dei complessi rapporti tra istituzioni e territori assume un interesse analitico particolare quando è effettuata in riferimento a contesti peculiari come quello montano. Nel ricostruire le vicende riguardanti le politiche istituzionali destinate, nel Veneto, alle aree montane, questo volume appronta un’indagine di tipo interdisciplinare su questioni, tuttora in auge, che insistono sulle comunità della montagna veneta, ancora alle prese con mai sopite tensioni tra i diversi livelli istituzionali che le investono ed inesausti aneliti di sviluppo autonomo ed autopropulsivo delle loro realtà socio-territoriali. Dal tratteggio analitico che ne consegue si deduce la persistenza di problematiche, ancora irrisolte, sia sul versante delle dinamiche di “innovazione istituzionale”, sia su quello della protezione delle specificità territoriali delle aree montane del Veneto, per le quali rimane intatta l’esigenza di allestire politiche conformi al patrimonio storico, culturale, comunitario e identitario che le connota (tratto dalla quarta di copertina). Stefano Piazza (Specialista in Istituzioni e tecniche di tutela dei diritti umani presso l’Università di Padova, Dottore di ricerca in Pianificazione territoriale e politiche pubbliche del territorio -IUAV -Venezia), è stato Tutor coordinatore di Discipline giuridiche ed economiche presso il TFA (Tirocinio formativo attivo) dell’Università degli Studi di Verona, per l’anno accademico 2014-2015. Ha insegnato, con docenze a contratto, alle Università di Trieste e di Padova e alla SSIS del Veneto (sede di Verona).

    MOTIVAZIONE:  Per l’accurata analisi delle recenti problematiche storico-sociali della montagna veneta e degli interventi pubblici in materia, sviluppata con ampiezza di approccio e con capacità di cogliere i risvolti critici del rapporto tra  ambiente, popolazione e istituzioni.  Il volume si articola in sette densi capitoli e ambisce a  tracciare una via percorribile per coniugare l’esigenza di politiche che sappiano rispondere agli attuali e spesso urgenti problemi dell’ambiente e della società di montagna, con le possibilità di uno sviluppo compatibile. In particolare, l’approfondita analisi del ruolo delle comunità montane e del Progetto montagna della Regione Veneto (capitoli IV e V)  conduce a evidenziare gli esiti «spesso claudicanti» delle specifiche politiche adottate, che non sono apparse in grado almeno finora di valorizzare concretamente le potenzialità di autogoverno e di auto-sviluppo dei diversi ambienti che compongono la montagna veneta (che è senza dubbio un grave errore concettuale considerare come un unicum omogeneo passibile di identici sviluppi e soluzioni e che fu una delle carenze fondamentali del Progetto regionale). Inoltre, l’improvvisazione delle scelte, gli interessi partitocratici, la visione della montagna come periferia e spesso come mero oggetto turistico hanno contribuito a depotenziare gli esiti di un piano di interventi che è stato per altri versi originale e innovativo. Il saggio conduce infine a interessanti considerazioni e proposte riguardo a un nuovo rapporto tra stato (nelle sue diverse e spesso sovrapposte entità istituzionali) e territorio, nel senso di un’accurata esplorazione degli elementi identitari locali e dei residui ambiti di autogoverno, in vista della preservazione del patrimonio storico e culturale che contraddistingue le ‘terre alte’. La parziale disattenzione degli attori politici e  la tendenza centralizzatrice nei confronti delle esigenze espresse dal basso possono essere superate solo rimettendo al centro la questione montagna, o meglio montagne, attraverso una nuova fase di studio, di ascolto e di dibattito circa il destino e le traiettorie identitarie di queste realtà, cui non potrà più essere estranea la consapevolezza del percorso storico recente, ma anche di quella di più lungo periodo, nell’ambito della Serenissima, della dominazione asburgica e del Regno d’Italia sabaudo (Walter Panciera)

    Segnalato per un libro sulle montagne venete

     

    Giovanni TOMASI, Dialetti e tradizioni delle Prealpi Venete Orientali. Vittorio Veneto, De Bastiani 2019.

    Lo studio riguarda le Prealpi comprese tra le valli del Brenta, del Piave e del Cellina, indagate in 50 punti con un questionario di 220 domande e risposte in dialetto; per raffronto sono aggiunte pure le aree a Nord sino ad Agordo e a Sud sino a San Donà di Piave e il confinante Friuli, con altri 37 punti. Viene investigato l’universo locale (giochi, caccia, alimentazione, soprannaturale, agricoltura, allevamento, flora, fauna, ecc.), studiato nelle varianti dialettali ed etnografiche. Un capitolo concerne il lessico particolare (etnici, gergo, linguaggi degli artigiani, numerali, traslati geografici, ecc.). In totale sono raccolte qui oltre 3200 parole, spesso ormai quasi dimenticate. Il volume, di 359 pagine, comprende un atlante linguistico (36 tavole) e 280 illustrazioni. Un’ampia documentazione sui dialetti del territorio delle valli del Brenta, del Piave, della Livenza e del Cellina (tratto dal risvolto e dalla quarta di copertina). Giovanni Tomasi (Revine, TV, 1948) è medico umanista, autore di numerosi saggi di storia, linguistica, etnografia, storia dell’arte, della chiesa, del giudaismo nel Veneto nordorientale.

    MOTIVAZIONE: A complemento di quanto scritto nella presentazione del volume di Greva–Tomasi, La fienagione nelle Dolomiti venete (Fondazione Cini, 2012), segnaliamo anche questa ulteriore opera di Giovanni Tomasi che, mettendo in campo una strumentazione pratica e scientifica già collaudata nei suoi lavori precedenti, indaga su una serie di concetti più diversificata anche se non più estesa, i quali costituiscono la base per un ulteriore questionario dialettale nelle aree indicate dal titolo.

    In questo caso la gamma dei riferimenti concettuali è più variata e quindi più mirata la ricerca dei corrispettivi dialettali. Si ha l’impressione di una selezione quasi per campioni di alcuni lemmi caratterizzanti, di alcune parole-chiave del lessico demotico delle nostre Prealpi venete.

    Il metodo di ricerca è però sempre quello degli atlanti linguistici: dai concetti  si passa agli oggetti d’indagine inseriti nelle varie categorie (uomini, animali, piante, alimenti, giochi, allevamento, agricoltura e altro ancora) e quindi alla determinazione dei punti locali di inchiesta, in modo da poter procedere alle relative indagini tramite interviste.

    La seconda e la terza parte del volume sono invece dedicate a ricerche lessicali particolari e personali, di derivazione documentaria, archivistica od anche semplicemente vocabolaristica.

    Il libro nel suo insieme, pur nella varietà e talora desultorietà dei modi di raccolta dei materiali, mette in luce una vera e propria miniera di informazioni linguistiche, dialettologiche, etnografiche e culturali tout court.

    [Antonio Daniele]


     

    Segnalato per un libro sulle montagne venete

    Ugo CASSINA, Guerra di mine. Ricordi di un reduce del Pasubio (1917-1918). La Strada delle 52 Gallerie. Le mine sulla Selletta dei Denti. La conquista del Monte Corno Battisti. A cura di Claudio Gattera e Alberto Bosa. Valdagno, Gino Rossato 2018.

    L’autore del libro, Ugo Cassina (1897-1964), sottotenente della 33ª compagnia minatori del Genio, ha raccolto la sua particolare esperienza di guerra in un dattiloscritto, destinato, almeno inizialmente, ai suoi colleghi ufficiali di reparto. L’autore, allora appena ventenne, trascorse i due ultimi anni del conflitto sul Monte Pasubio dove la sua compagnia realizzò la celeberrima Strada delle 52 gallerie e fu seriamente impegnata nella guerra sotterranea, prima al Dente Italiano e poi al Corno Battisti. Sono tre momenti importanti nell’ambito delle vicende pasubiane, per i quali Cassina fornisce una serie di notizie interessanti e poco note, con uno stile che rende il racconto piacevole e avvincente. Le introduzioni e le numerose note esplicative dei curatori inquadrano l’opera dell’autore nel contesto della guerra combattuta sul Pasubio e ne confermano la sua attendibilità storica (tratto dalla prima di copertina). Ugo Cassina è nato a Polesine Parmense (PR) il 1° aprile 1897. Partecipò al primo conflitto mondiale combattuto sul monte Pasubio come ufficiale subalterno della 33a compagnia del 5o reggimento Genio. Fu decorato con due medaglie di bronzo al valor militare, due croci di merito di guerra ed ebbe un encomio solenne. Appena congedato, riprese gli studi a Torino dove conseguì, nel 1921, la laurea in matematica, ottenuta con il massimo dei voti e la lode. Il neoprofessore divenne uno dei più apprezzati docenti universitari. Oltre che all’Accademia di aereonautica di Caserta, insegnò negli atenei di Torino, Pavia e Milano. Fu nel capoluogo lombardo che si spense nel 1964.

     

    Segnalato per un libro sulle montagne venete

     

    Benito BUOSI, Montello. L’America d’Italia. Crocetta del Montello, Terra Ferma – Grafiche Antiga 2018.

    In questo libro Benito Buosi continua la “questione montelliana”. Riprende i fili ingarbugliati di una vicenda umana duramente vissuta da duemila famiglie, tra la fine di un bosco-mito e i disastri della Grande Guerra, tra incertezze dei comuni e incomprensioni burocratiche governative. Famiglie di nativi e di immigrati d’oltre Piave e dalla montagna vicentina e feltrina, impegnate nei primi passi di un’agricoltura incerta, in una terra avara di risultati, che osservatori distratti avevano scambiato per l’America (tratto dalla quarta di copertina). Benito Buosi è uno scrittore, storico, saggista italiano, nato a Conegliano e da diversi anni residente a Montebelluna. Ha scritto alcuni saggi di storia locale. Altre sue opere sul Montello sono Maledetta Giavera, Amadeus ed. 1992, Il bosco del Montello tra Venezia e Vienna, Atti Ateneo Treviso, 1998 , Al di là di un gran fosso. (Emigrazione da Volpago del M.). Com.Volpago del M. 1999, Pietro Bertolini e la colonizzazione del Montello, Cierre ed., 2002, Bisnenti a Giavera, Antilia 2010. Sulla Grande Guerra Dietro le linee del Grappa e del Montello, Istrit-Provincia Treviso, 2008 e Racconti dell’invasione 1917-1918, Istrit 2011.

    MOTIVAZIONEIl libro di Benito  BUOSI,  Montello. L’America d’Italia, pubblicato nel 2018, presenta le vicende travagliate della riforma fondiaria che, tra ’800 e ’900, ha avviato la trasformazione del bosco del Montello (Treviso) in terra da coltivare, affidata alla cura di duemila famiglie indotte a ricavare di che vivere da un ambiente ostile e da terreni scarsamente produttivi, privi d’acqua, di strade di comunicazione e di strutture idonee alla vita famigliare e collettiva. La giuria del Premio Brunacci ritiene questa pubblicazione degna di essere segnalata perché ricostruisce un episodio di colonizzazione agricola poco noto, prestando attenzione non solo agli aspetti legislativi, burocratici e giuridici, ma anche ai risvolti sociali, culturali e religiosi che hanno segnato la trasformazione di questo particolare territorio del Veneto all’indomani dell’unità d’Italia, fino alla conclusione della prima guerra mondiale e oltre. Le vicende risultano adeguatamente documentate, avendo l’autore recuperato le informazioni da fonti conservate presso le istituzioni amministrative periferiche e centrali, oltre che da organi di stampa locali e nazionali.  Il volume di Benito Buosi non intende essere un saggio storico-critico, ma non per questo si esaurisce in un’arida rassegna di vicende cronachistiche. Merito dell’autore è di avere ricomposto il quadro degli avvenimenti facendo emergere e illustrando con una scrittura di immediata comprensione le dinamiche che hanno regolato la cosiddetta “questione montelliana”. Infatti, attraverso un’esposizione attenta anche alle esigenze di una divulgazione semplice ma rigorosa, questo capitolo di storia locale mette efficacemente in luce le implicazioni umane, spesso difficili e a volte drammatiche, vissute da una comunità rurale in cerca di riscatto sociale. (Antonio Lovato)

     

     

    TESI DI DOTTORATO O SPECIALIZZAZIONE

    Vincitore

    Maurizio SACQUEGNA, Giovanni Matteo Asola (1524-1609). La salmodia vespertina a più cori. Edizione critica. Università degli Studi di Padova. Corso di Dottorato in Storia, Critica e Conservazione dei Beni Culturali. XXXII ciclo. Coordinatore: Ch.ma Prof. Federica Toniolo; Supervisore Ch.mo Prof. Antonio Lovato.

    MOTIVAZIONE: La tesi di dottorato di ricerca Giovanni Matteo Asola (Verona, 1524 – Venezia, 1609). La salmodia vespertina a più cori. Edizione critica è stata discussa dal dott. Maurizio Sacquegna presso l’Università degli studi di Padova nel 2020, a conclusione del XXXII ciclo del Dottorato di ricerca in Storia critica e conservazione dei beni culturali. L’elaborato rappresenta l’esito dello studio di cinque opere composte dal musicista veronese Giovanni Matteo Asola, per un totale di 95 composizioni a doppio e triplo coro, pubblicate tra il 1574 e il 1590. Dopo l’identificazione e l’acquisizione delle fonti (prime edizioni e ristampe) contenenti le salmodie policorali per il Vespro e della relativa bibliografia, il dott. Maurizio Sacquegna ha trascritto in notazione moderna le 95 composizioni, corredando ognuna di una scheda in cui vengono analizzate e discusse le tecniche del trattamento musicale. Lo studio introduttivo, oltre a ricostruire la biografia e delineare lo stile compositivo di Giovanni Matteo Asola, pone in evidenza gli aspetti innovativi del suo linguaggio in relazione alla produzione musicale, non solo veneta, di fine Cinquecento. La giuria ha ritenuto di premiare la tesi del dott. Maurizio Sacquegna per l’originalità della ricerca e il valore dei risultati raggiunti, giudicati di sicuro interesse per gli studiosi, i musicologi in particolare, gli esecutori e quanti si occupano di polifonia rinascimentale. Un risultato rilevante è dato dal nuovo profilo biografico di Giovanni Battista Asola, ricostruito attraverso una sistematica esplorazione condotta negli archivi di Verona, Vicenza, Treviso e Venezia, dove egli è stato attivo come maestro di cappella. Ciò ha permesso di ampliare le conoscenze sulla sua duplice attività di compositore e sacerdote, tra loro strettamente connesse, e di colmare lacune, rettificare informazioni, confermare o confutare ipotesi precedenti. La vasta produzione del musicista veronese ora risulta adeguatamente contestualizzata in rapporto alle mansioni e agli incarichi da lui ricoperti, sorretta da elementi validi a motivare le sue scelte compositive e la sua evoluzione stilistica. Originale risulta l’analisi a cui il dott. Maurizio Sacquegna ha sottoposto le composizioni di Asola, spaziando dall’impiego delle diverse forme di canto policorale, dei toni ecclesiastici, delle modulazioni e delle cadenze, all’uso delle strutture polifoniche e del contrappunto. Va segnalata la puntuale verifica dei processi di rielaborazione della struttura modale tipica del canto gregoriano, utilizzata dal musicista come base di formazione e di sviluppo della propria polifonia. Una verifica analoga riguarda l’utilizzo, all’interno delle composizioni policorali di Asola, sia di intonazioni riprese dal canto gregoriano sia di figure retorico-musicali, descritte e motivate nella loro funzione. Degna di nota è, poi, l’imponente opera di trascrizione delle composizioni, intesa a rendere ancora fruibile all’esecuzione e all’ascolto una serie importante di musiche antiche prodotte in area veneta. Il dott. Sacquegna ha restituito questi monumenti musicali secondo criteri rigorosamente filologici, quindi nel rispetto della lezione consegnata dalle fonti, adottando nello stesso tempo quegli accorgimenti formali che soddisfano le esigenze di lettura e interpretazione richieste per la loro esecuzione in tempi moderni. Considerate la quantità di nuove informazioni e le scelte metodologiche adottate, la giuria ritiene che la tesi di dottorato del dott. Maurizio Sacquegna possa costituire un punto di riferimento per coloro che intendono affrontare la restituzione e l’analisi critica delle numerose composizioni polifoniche e policorali di altri musicisti attivi nel Veneto e in Italia tra i secoli XVI e XVII,  ancora in attesa di essere riscoperte e rivalutate.

     

    Segnalata

    Claudia ZABEO, Incunaboli e cinquecentine della biblioteca Arrigoni degli Oddi. Corso di laurea magistrale in Storia e gestione del patrimonio archivistico e bibliografico. Università Ca’ Foscari di Venezia. Relatore: Ch. Prof. Andrea Desolei; Correlatori: Ch. Prof. Mario Infelise e Dott.ssa Cristina Roberta Tommasi. Anno accademico: 2018/2019.

     

    PREMIO SPECIALE DELLA GIURIA

    La giuria ha ritenuto di assegnare un premio speciale  per

    Paolo MALAGUTI, Se l’acqua ride. Torino, Einaudi 2020.

    Sulla corrente dei fiumi nulla cambia mai davvero. Al timone degli affusolati burchi dal fondo piatto, da sempre i barcari trasportano merci lungo la rete di acque che si snoda da Cremona a Trieste, da Ferrara a Treviso. Quando Ganbeto sale come mozzo sulla Teresina del nonno Caronte, l’estate si fa epica e avventurosa. Sono i ruggenti anni ’60, nelle case entrano il bagno e la televisione in bianco e nero, Carosello e il maestro Manzi. I trasporti viaggiano sempre più via terra, e i pochi burchi che ancora resistono, per ostinazione oltre che per profitto, preferiscono la sicurezza del motore ai ritmi lenti delle correnti e delle maree. Quello del barcaro è un mestiere antico, ma l’acqua non dà certezze, e molti uomini sono costretti a impiegarsi come operai nelle grandi fabbriche. A bordo della Teresina, Ganbeto si sente invincibile. Gli attracchi, le osterie, le burrasche, il mare e la laguna, le campane di piazza San Marco, i coloriti modi di dire di Caronte e i suoi cappelli estrosi, le ragazze che s’incontrano lungo le rotte. Presto, però, non potrà più far finta di niente, lui che ha un piede nel vecchio e uno nel nuovo dovrà imparare la lezione piú dolorosa di tutte: per crescere bisogna sempre lasciare indietro qualcosa. Paolo Malaguti è nato a Monselice (Padova) nel 1978. È autore di Sul Grappa dopo la vittoria (Santi Quaranta 2009), Sillabario veneto (Santi Quaranta 2011), I mercanti di stampe proibite (Santi Quaranta 2013), La reliquia di Costantinopoli (Neri Pozza 2015, con cui ha partecipato al Premio Strega), Nuovo sillabario veneto (BEAT 2016), Prima dell’alba (Neri Pozza 2017), Lungo la Pedemontana. In giro lento tra storia, paesaggio veneto e fantasie (Marsilio 2018) e L’ultimo carnevale (Solferino 2019). Per Einaudi ha pubblicato Se l’acqua ride (2020).

    Motivazioni: Il libro di Paolo Malaguti, Se l’acqua ride, è un romanzo di formazione  che narra la storia di un ragazzino il quale vive l’esperienza dei barcari di Battaglia nei primi anni Sessanta. L’ambientazione particolare (le vie fluviali da Cremona a Trieste, da Ferrara a Treviso), il tipo di lavoro (ora scomparso), la rievocazione di un mondo collaterale contadino (ma con spinte impellenti verso l’industrializzazione forzata), la collocazione temporale (si immagina un salto all’indietro di più di cinquant’anni ) ne fanno però anche una sorta di romanzo storico, che ricostruisce una delle fasi più complesse del secondo dopoguerra: quella del boom economico e del mutamento epocale dei costumi di una regione, il Veneto, e per traslazione dell’Italia tutta.

    L’opera ha diverse qualità di stile e di racconto che rivelano uno scrittore più che promettente, già compiuto, nonostante l’età ancora giovanile, il quale  pur servendosi di un italiano elegante e ricco di succhi non si perita di inframmezzarlo con termini dialettali veneti e con lacerti di un lessico tecnico in uso tra battellieri e cavallanti (ormai più o meno estinto): il che dimostra anche un certo gusto di documentazione e di ricerca storica che piace per il colore locale e il gusto di salvaguardare un linguaggio al limite del gergo. Anche il titolo del libro, Se l’acqua ride, è legato al motto privatissino dei battellieri “se l’acqua ride, il burcio piange”: vale a dire che se l’acqua gorgoglia c’è un inciampo, un basso fondale che può danneggiare il barcone.

    La storia narrata riguarda la maturazione di Ganbeto (soprannome del protagonista, in realtà un ferro ricurvo che fissa la catena dell’ancora, per similitudine associato alla magrezza del personaggio) attraverso le sue avventure fluviali, specie lungo Brenta e Bacchiglione al seguito del nonno e del padre come morè (mozzo di bordo). Il nonno porta un nome parlante (nomen omen), Caronte, ed è  l’effettivo accompagnatore- istruttore del giovane barcaro alle prime esperienze.

    In queste peregrinazioni con carichi ora di trachite, ora di grano, ora di farina Ganbeto matura e diventa uomo alla rude scuola del nonno, mentre il padre è costretto alla fine a piegarsi alla dura scelta del lavoro in Fabbrica (non mai denominata, ma sicuramente la Galileo del paese) per avere quel minimo di sicurezza economica che ormai il lavoro del barcaro non può più dare. E in questo vagabondare di argine in argine, di approdo in approdo Ganbeto sperimenta anche i primi trasalimenti d’amore, le prime esperienze sessuali, muovendo verso la fine della sua adolescenza. Che è anche, emblematicamente e poeticamente, la fine di un mondo arcaico.

    Il racconto di Malaguti cerca di riprodurre il sapore di un’epoca passata e di una regione che si è trasformata per rapida e quasi incontrollata evoluzione, collocandosi in  continuità ‘emotiva’ con la narrativa  veneta che l’ha preceduto di qualche decennio, cosicché è facile ritrovare in lui (perché è operazione voluta) l’impronta scrittori quali Luigi Meneghello, Goffredo Parise e Ferdinando Camon.   [Antonio Daniele]

     

    Paolo Malaguti
    PREMIO ALLA CARRIERA

    La giuria ha ritenuto di assegnare un premio speciale alla carriera alla prof.

    Giuseppina DE SANDRE GASPARINI, autrice di numerose pubblicazioni e in particolare per il libro Fra i lebbrosi, in una città medievale. Verona, secoli XII-XIII. A cura di Roberto Alloro, Marianna Cipriani, Maria Clara Rossi; con una premessa di Grado Giovanni Merlo. Roma, Viella 2020

    Il libro parla della malattia della lebbra, i malati di lebbra e i luoghi destinati ad accoglierli, che costituirono una realtà decisamente familiare per gli uomini e per le donne vissuti in età medievale, sia nelle città sia nei contesti abitativi rurali. Tale realtà da un lato continuò ad alimentare sentimenti negativi, quali il rifiuto, la paura del contagio, il ribrezzo, supportati dall’idea vetero-testamentaria della malattia come castigo divino per l’umanità peccatrice; dall’altro, con maggiore intensità nei secoli XII e XIII, essa fu considerata in modo del tutto nuovo, poiché il lebbroso divenne l’immagine del Cristo sofferente e l’assistenza verso i malati assunse una valenza religiosa. Il volume esplora questa particolare realtà del nostro passato, focalizzando lo sguardo sulla Verona dei secoli XII e XIII e sulle sue fonti (tratto dalla quarta di copertina)Giuseppina De Sandre Gasparini ha insegnato Storia del cristianesimo e delle chiese presso l’Università di Verona e ha fondato insieme a Grado Giovanni Merlo e ad Antonio Rigon il periodico «Quaderni di storia religiosa». La vita religiosa dei laici, le istituzioni ecclesiastiche, i movimenti confraternali in contesti urbani e rurali, la storia dei lebbrosi e dei lebbrosari nel medioevo italiano sono stati sempre al centro dei suoi interessi di ricerca. Fra le sue molte pubblicazioni ricordiamo: Statuti di confraternite religiose di Padova nel medioevo (Padova 1974), La vita religiosa nella Marca veronese-trevigiana tra XII e XIV secolo (Verona 1993), e la curatela, con M.C. Rossi, di Malsani. Lebbra e lebbrosi nel medioevo (Verona 2012).

    RICERCHE SCOLASTICHE

    La giuria ha ritenuto di premiare l’unica ricerca in concorso realizzata nonostante l’emergenza sanitaria intitolata I nostri Colli Euganei. Ricerca eseguita dagli alunni della classe V dell’Istituto Sabinianum di Monselice – Sacro Cuore

     

     

  • Tra spezie e spie a cura di Andrea Savio

    Tra spezie e spie a cura di Andrea Savio

    TRA SPEZIE E SPIE

    Filippo Pigafetta nel Mediterraneo nel Cinquecento

    curato da Andrea Savio, edito da Viella nel 2020.

    Partecipa alla 35° edizione del Premio Brunacci 2020: Tra spezie e spie. Filippo Pigafetta nel Mediterraneo del Cinquecento, a cura di Andrea Savio, edito da Viella nel 2020.

    Il nobile vicentino Filippo Pigafetta (1533-1604), parente del più famoso Antonio, fu a sua volta instancabile viaggiatore, figura emblematica tra politica, affari e cultura del Cinquecento. Lo seguiamo nelle peregrinazioni che compie nel decennio 1576-1587 tra Suez, Londra, Madrid, Lisbona, Roma, Gerusalemme e Venezia, come esploratore, cartografo, informatore, poligrafo e diplomatico tra il mondo cristiano e quello ottomano. Lo rincorriamo, un’udienza dopo l’altra, per le corti di Filippo II, Elisabetta I, papa Sisto V e Ferdinando I de’ Medici. Fino a scoprirlo, per un momento, perno di una possibile alleanza tra le potenze europee per il controllo dell’Egitto, in vista dell’apertura di un canale a Suez per il transito del pepe indiano dal Mar Rosso al Mediterraneo.

    Andrea Savio dottore di ricerca in Scienze storiche, collabora con la Boston University Study Abroad in Padua e con l’Università di Padova. Per i nostri tipi ha pubblicato Nobiltà palladiana. La famiglia Godi fra Vicenza e l’Europa (Roma, 2017).

  • Potere e giustizia nel Veneto di Radetzky a cura di Luca Rossetto

    Potere e giustizia nel Veneto di Radetzky a cura di Luca Rossetto

    POTERE E GIUSTIZIA NEL VENETO DI RADETZKY

    La commissione militare in Este (1850-1854)

    curato da Luca Rossetto, edito da Marsilio Editore nel 2019.

    Partecipa alla 35° edizione del Premio Brunacci 2020: Potere e giustizia nel Veneto di Radetzky. La commissione militare in Este (1850-1854), a cura di Luca Rossetto edito da Marsilio Editore nel 2019.

    Lo studio di un originale organismo giudiziario pensato e voluto dal feldmaresciallo Radetzky all’indomani del biennio rivoluzionario del 1848-1849 per reprimere un allarmante fenomeno di azioni predatorie (furti violenti e rapine) in Bassa Padovana e in Polesine, nel quadro di una più ampia e inconsueta strategia politica avallata da Vienna per la gestione dei rapporti con i notabilati e con le comunità del Veneto asburgico. Una ricerca che indaga nello specifico quali furono le origini della Commissione militare in Este, che tipo di procedura adottò, come fu percepita la sua azione dalle realtà che ne vennero investite, in che modo tale attività fu rappresentata dai protagonisti della stessa, dalla storiografia coeva e dalla successiva e, infine, quali reazioni suscitò da parte delle comunità medesime. Un viaggio attraverso un’istituzione simbolo del potere e della giustizia del Veneto austriaco di Radetzky e di Francesco Giuseppe.

    Luca Rossetto è ricercatore e docente di Storia delle istituzioni politiche presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si occupa in particolare di area veneta in antico regime e nel XIX secolo. Autore del libro Il commissario distrettuale nel Veneto asburgico. Un funzionario dell’Impero tra mediazione politica e controllo sociale (1819-1848) (Bologna 2013), per Marsilio ha curato il volume La città disvelata. Luoghi e percorsi della giustizia nella Vicenza asburgica (2016).

    
    
    

    MOTIVAZIONE

    Al libro è stato attribuito il premio per la sezione veneta 2020: Per l’originalità e per l’approccio metodologicamente sicuro a una tematica legata alla giustizia criminale e ai suoi risvolti politici durante la dominazione austriaca post-1848.

    Il volume di Rossetto è costruito attorno alle carte processuali della Commissione militare straordinaria costituita nella primavera del 1850 dal governo austriaco e che si trovano conservate nell’archivio di stato di Venezia. La documentazione è poi integrata dalla documentazione di altri archivi delle ex province del Lombardo-Veneto, degli archivi viennesi e da una sapiente scelta bibliografica. La Commissione operò di fatto fino alla fine del 1853 nei territori di Rovigo, Padova e Mantova per la repressione dei 17 gravi reati che il Radetzky aveva elencato nel suo proclama di Milano del 10 marzo 1849, in pieno stato d’assedio, e che andavano dall’alto tradimento alla rapina, dalla detenzione di armi all’oltraggio verso i militari austriaci.  Le ricerche di Rossetto chiariscono come questo tribunale speciale si dedicasse in realtà alla repressione delle gravi forme di banditismo/brigantaggio che nell’area suddetta si aggravarono dopo il 1848, rispondendo così efficacemente alle esigenze di controllo espresse dalle élite locali di vecchia e di nuova formazione. Accompagnato e seguito nei decenni successivi da un’azione intesa a propagandare i risultati e ad accompagnarli, ad esempio, con attività assistenziali dirette ai familiari degli inquisiti, il lavoro della Commissione si distingue per la sua inusitata durezza: 1200 processi in soli quattro anni,  di cui un terzo conclusi con condanne a morte e gli altri quasi sempre con dure pene detentive. L’analisi di Rossetto, che passa dall’origine del tribunale, al suo funzionamento, al modo in cui viene colto e rappresentato il suo operare, si completa attingendo al rapporto tra le comunità coinvolte e l’autorità pubblica, nel quadro di un’azione repressiva nei confronti delle bande organizzate più pericolose e con il consenso della maggior parte degli attori coinvolti, in primo luogo i latifondisti e gli altri notabili  della basa padovana, mantovana e del Polesine.  Si trattò di una scelta di politica criminale eccezionale, chiaramente appoggiata dalla chiesa, spiega Rossetto, sulla quale i sudditi veneti e lombardi espressero un generalizzato apprezzamento, tranne forse per il caso di resistenza frapposta dalla comunità di Piacenza d’Adige, per la quale l’alto numero di processi (70) e al converso il basso numero di condanne testimoniano dell’omertà e della resistenza di una contrada di fiume, cellula di piccoli proprietari decisi a preservare il loro precario benessere in qualsiasi modo possibile.  Infine, grazie soprattutto all’attenta analisi del caso ben noto del bandito Francessco Tenan detto Pipon di Guarda Veneta (capitolo 3), Rossetto destruttura le varie mitologie e le distorsioni storiografiche legate alla figura del bandito sociale o peggio ancora a quella dell’eroe risorgimentale, per restituire alla realtà del contrabbando e della criminalità organizzata, per nulla miserabile né rispettabile, il posto (esecrabile) che merita nella storia.

  • Liber pertichationis di Legnago (1419-1420), curato da Andrea Ferrarese

    Liber pertichationis di Legnago (1419-1420), curato da Andrea Ferrarese

    LIBER PERTICHATIONIS DI LEGNAGO (1419-1420)

    a cura di Andrea Ferrarese, edito da Fondazione Matilde Avrese.

    Partecipa alla 35° edizione del Premio Brunacci 2020: Liber pertichationis di Legnago (1419-1420), curato da Andrea Ferrarese edito da Fondazione Matilde Avrese.

    Questa monografia, lievitata nel tempo per successive stratificazioni da quel sorprendente magma documentario depositatosi tra le carte del Liber Pertichationis di Legnago, costituisce un primo contributo di una più ampia ricerca dedicata alla quasi -città atesina tra l’inizio della dominazione veneziana e la fine della guerra di Cambrai. Un torno di anni, quest’ultimo, decisamente trascurato sia dalla storiografia veronese dedicata al contesto legnaghese -e a prescindere da pionieristici e fondamentali saggi promossi quasi trent’anni or sono da G.M. Varanini sulla base della documentazione fiscale e anagrafica disponibile per gli anni ’30 del XV secolo -quanto soprattutto dagli scarsissimi (e assai datati) contributi ‘locali’, pertanto poco attratti dall’apprezzabile documentazione archivistica superstite e incanalati piuttosto negli stilemi di una scarsa narrazione esclusivamente evenementielle. Anche se -non va dimenticato- le rocambolesche vicende novecentesche del Liber, ampiamente riscostruite nel primo capitolo, non hanno di certo favorito la conoscenza e la valorizzazione di questo straordinario documento che ad oggi costituisce un unicum tra le fonti fiscali disponibili per la terraferma veneta tardo- medievale. L’eccezionalità di questo rilievo fondiario si lega soprattutto alla capacità di restituire un ingente flusso di informazioni di primissima mano -non ricavabili (almeno solo parzialmente) da altre fonti coeve- oltre che a ‘fotografare’ nel dettaglio uno status quo immobiliare al momento della sua esecuzione tra il 1419 e il 1420, permette di seguire l’evoluzione per almeno un trentennio e di costruire nel tempo le tendenze, gli sviluppi, le caratteristiche di fondo dei protagonisti del ‘mercato della terra’ del distretto legnaghese fin oltre la metà del secolo. Una manna, insomma, per l’agricoltura basso medievale veneta e legnaghese…che tra l’altro – occorre sottolinearlo con qualche preoccupazione- sembra scontare negli ultimi decenni una perdurante rarefazione di contributi storiografici, decisamente più marcata rispetto al pur altrettanto deficitario contesto rurale in età moderna.

    L’elaborazione e la contestualizzazione del profluvio di dati, di intestatari e di poste fondiarie restituiti dal Liber ha permesso in ultima analisi di dare spessore e di articolare con più precisione in termini di andamenti e di cronologie, alcuni degli aspetti salienti dell’esperienza politica e amministrativa della quasi-città. Sullo sfondo di una tenace spinta centrifuga da Verona che a partire dalla parentesi viscontea si struttura e si rafforza nelle successive transizioni giurisdizionali, emergono gli eterogenei ambienti dell’autonomia legnaghese e le loro onnipervasive segmentazioni che innervano non solo quella fiscalità che per decenni a venire costituì uno dei motivi di più profonda frizione con la città, quanto soprattutto uno strettissimo controllo del proprio ristretto controllo e una rigida subordinazione alle elites locali degli scambi del mercato fondiario. Ed è proprio dall’opportunità di mettere a fuoco alcune delle molteplici ‘sfaccettature’ di quest’indipendenza politica a lungo rimaste nell’ombra che emerge l’indubbio valore del documento. In un contesto, in ultima analisi, in cui il ‘reggersi da sè’, la forza di un potere impositivo relativamente indipendente e, non da ultimo, la presenza di un ceto dirigente locale estremamente dinamico – anche troppo se si considerano gli errori di prospettiva politica e le pesanti conseguenze scaturite dalla scelta di campo gonzaghesca del 1438-, sono a ben vedere epifenomeni di una penetrazione fondiaria assai pervicace e che a ben vedere riproduce , con le debite proporzioni, le analoghe e ben note dinamiche di potere attuate dai Patriziati urbani della Terraferma. Non mancano infine i problemi aperti che attendono risposte dalla notevole documentazione archivistica, perlopiù inesplorata, disponibile per la seconda metà del secolo e che dovrebbe sciogliere -quod est in votis- i molti interrogativi che il Liber ha concorso a catalizzare. A partire dalla capacità di resistenza (o meno) dopo una forzata aggressione fiscale e amministrativa a Verona (1441), di quelle dinamiche fondiarie che, come appena accennato, avevano costituito nella prima metà del secolo uno strumento privilegiato di controllo del distretto e una solidissima base di accesso al potere comunitario. E anche se un ‘grossolano’ indicatore del benessere economico locale -le cifre degli estimi veronesi- sembrano indicare una qualche flessione a partire dagli anni ’60 del secolo, accompagnata dai primi casi di inurbamento di alcuni dei membri delle famiglie legnaghesi più influenti, il quadro complessivo rimane ancora decisamente indistinto. La stesura di queste pagine ha potuto beneficiare dei preziosi consigli e della puntuale lettura critica del prof. Gian Maria Varanini e dell’amico prof. Renzo Vaccari che ringrazio. Al dott. Claudio Bismara sono invece debitore di alcuni controlli nel mare magnum del fondo ‘Ufficio del Registro’ nell’Archivio di Stato di Verona. La pazienza e la tenacia con cui l’avvocato Piero Avrese, presidente della fondazione Matilde Avrese, ha seguito e spronato il progressivo ‘farsi’ di questo libro, hanno giovato e non poco nell’aiutarmi a non perdere di vista il valore del Liber e a superare quelle difficoltà che di tanto in tanto ne hanno rallentato la stesura. Un grazie infine al caro amico Alberto Casalini con cui condivido da tempo una fervida passione per quelle leniacensia che -pur tra le inevitabili flessioni dei momenti della vita- riemergono costantemente a scandire il senso di fare storia, malgrè tout (premessa a cura di Andrea Ferrarese).

  • Fra i lebbrosi, in una città medievale a cura di Giuseppina De Sandre Gasparini

    Fra i lebbrosi, in una città medievale a cura di Giuseppina De Sandre Gasparini

    FRA I LEBBROSI, IN UNA CITTA’ MEDIEVALE

    Verona, secoli XII-XIII

    a cura di Giuseppina De Sandre Gasparini , edito da Viella, 2020

    Partecipa alla 35° edizione del Premio Brunacci 2020: Fra i lebbrosi, in una città medievale. Verona, secoli XII-XIII a cura di Giuseppina De Sandre Gasparini e altri, edito da Viella, 2020.

    Il libro parla della malattia della lebbra, i malati di lebbra e i luoghi destinati ad accoglierli, che costituirono una realtà decisamente familiare per gli uomini e per le donne vissuti in età medievale, sia nelle città sia nei contesti abitativi rurali. Tale realtà da un lato continuò ad alimentare sentimenti negativi, quali il rifiuto, la paura del contagio, il ribrezzo, supportati dall’idea vetero-testamentaria della malattia come castigo divino per l’umanità peccatrice; dall’altro, con maggiore intensità nei secoli XII e XIII, essa fu considerata in modo del tutto nuovo, poiché il lebbroso divenne l’immagine del Cristo sofferente e l’assistenza verso i malati assunse una valenza religiosa. Il volume esplora questa particolare realtà del nostro passato, focalizzando lo sguardo sulla Verona dei secoli XII e XIII e sulle sue fonti (tratto dalla quarta di copertina).

    Giuseppina De Sandre Gasparini ha insegnato Storia del cristianesimo e delle chiese presso l’Università di Verona e ha fondato insieme a Grado Giovanni Merlo e ad Antonio Rigon il periodico «Quaderni di storia religiosa». La vita religiosa dei laici, le istituzioni ecclesiastiche, i movimenti confraternali in contesti urbani e rurali, la storia dei lebbrosi e dei lebbrosari nel medioevo italiano sono stati sempre al centro dei suoi interessi di ricerca. Fra le sue molte pubblicazioni ricordiamo: Statuti di confraternite religiose di Padova nel medioevo (Padova 1974), La vita religiosa nella Marca veronese-trevigiana tra XII e XIV secolo (Verona 1993), e la curatela, con M.C. Rossi, di Malsani. Lebbra e lebbrosi nel medioevo (Verona 2012).