Il volume del palazzo conosciuto come Cà Duodo, aggetta con il suo volume rispetto al fronte stradale in cui è inserito, rendendosi subito identificabile. La sua storia è legata a quella della famiglia veneziana che, dopo il passaggio di Monselice a Venezia nel 1405, si vede assegnato uno dei tre lotti in cui la Dominante divide la rocca. La famiglia aveva già iniziato i lavori di risistemazione di alcuni edifici tardo gotici in città per farne il proprio palazzo ma, a seguito del nuovo evento, blocca i lavori. Questa pare la motivazione più logica per la non realizzazione di un progetto che la famiglia intende affidare a Vincenzo Scamozzi, se è vero che questo redige un rilievo preliminare alla progettazione dell’immobile, mentre poi si occuperà della nuova villa da costruirsi sulle pendici della rocca. L’immobile, dopo anni di degrado, appare oggi completamente restaurato da un lavoro effettuato alla fine degli anni novanta. Il fronte principale, come detto, si apre su via Santarello, come prisma concluso, con il tetto a due falde collegate nel colmo parallelo al fronte. Il volume si sviluppa profondamente verso l’interno, con pianta tripartita e scala di accesso ai piani superiori posta nel mezzo del lato a sinistra, lato libero su uno stretto passaggio segnato in strada da una cancellata sormontata da un’arcata con sesto ribassato. Il volume si eleva di due piani più soffitte, ed è aperto, a pian terreno, in un largo portale architravato contornato da una cornice, a conci in bagnato rustico, cui si affiancano due finestre per ogni lato, con cornice completa in pietra liscia , protette da inferriate.
Il piano nobile è aperto al centro in una splendida esafora gotica, cui si affiancano due monofore: le due luci mediane si aprono su un terrazzo, con soglia in pietra e ringhiera in ferro battuto. Le luci sono ad arco acuto gotico trilobato ed hanno contorno in pietra tenera, nei modi padovani del Quattrocento; la quadrifora mediana poggia su colonnine lisce, mentre gli stipiti laterali hanno decoro a torciglione agli spigoli, ripetuto anche in quelle delle monofore accostate. Le ghiere hanno traccia a decoro a dentelli mentre sopra la chiave una palmetta completa l’apparato. Le monofore ai lati, e quelle sui fianchi, ripetono il motivo del torciglione agli stipiti. Il sottotetto si apre in finestrine quadrate poste in asse alle luci sottostanti, con bordo a listello in pietra tenera. In facciata era presente una decorazione, ora perduta, di cui resta traccia nella cornice in pietra inserita nella muratura. La linea di gronda è resa da una doppia fila di dentelli in laterizio, con mattoni posti prima di testa e successivamente in diagonale. La villa si sviluppa in volumi all’interno, affacciati ai lati della piccola corte.
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